Pandæmonium
Un Pandemonio è una situazione caotica e disordinata, un insieme di suoni confusi che si mescolano in voci distorte, un tumulto disorientante di immagini scompigliate che si agitano e si accalcano in un turbamento anarchico che genera smarrimento ed incertezza. Pandaemonium è il nome che John Milton sceglie per la capitale dell’Inferno nel suo Paradise Lost, quella roccaforte nella quale Satana e tutti gli spiriti maligni si raccolgono e armano un esercito che si propone di distruggere il mondo terreno attraverso la sua corruzione. Già nel titolo della mostra, l’artista dimostra di aver voluto delineare ed evocare immagini e personaggi che riflettono la profonda tensione di uno spirito libero che non si lascia imbrigliare nelle trame del mondo costituito ma ricerca un proprio spazio di evasione ed indipendenza non volendo comprimersi in uno schematismo limitante e paralizzante.
Calato nel contesto storico in cui l’autrice realizza l’installazione, tuttavia, il termine Pandaemonium crea un sottile gioco di assonanza con un vocabolo di spiccata attualità: la parola Pandemia che nulla condivide con Pandaemonium etimologicamente ma che tanto gli somiglia nel suono. Il legame tra Pandaemonium e pandemia è voluto e ricercato e amplia il significato stesso della mostra aprendola a contenuti ulteriori e suscitando sentimenti uguali e contrari: la pandemia come il pandemonio crea scompiglio, genera paure, sovverte l’ordine delle cose, disorienta e sconvolge; allo stesso tempo, tuttavia, la pandemia ostacola quella umana confusione e a chi l’abbia vissuta evoca più immagini di solitudine e città deserte che il caos della capitale infernale.
Nell’istallazione, il Pandaemonium prende vita mediante l’accostamento di oggetti ed immagini profondamente eterogenei che trovano il loro unico legame nell’essere rappresentativi di superstizioni, inquietudini e paure, che diventano il racconto di una cultura popolare con una precisa collocazione nel tempo e nello spazio ma che assurgono a concretizzazioni di quelli che sono i timori dell’uomo di ogni epoca ed ogni cultura. L’esaltazione del caos demoniaco avviene anche attraverso l’utilizzo di materiali profondamente diversi, dal carbone, alla ceramica, al legno, ai materiali tessili, che si fondono insieme in un risultato organico che non crea spaesamento in sé, ma attraverso ciò che la materia stessa e l’immagine che essa realizza evocano.
Ogni materia prima ha alle spalle una sua storia, un suo legame con la cultura e la tradizione di origine, una sua specificità; e l’accostamento materico crea un effetto multisensoriale ed una varietà di pesi, luci, odori e consistenze. L’utilizzo e la riconversione di oggetti vissuti e concretamente appartenenti a quel mondo al quale l’artista si ispira e che rivive nelle sue opere fanno ancor più di questa mostra un racconto tangibile di un passato che torna prepotentemente come bagaglio conservato e retaggio trasmesso. Depositaria di questo sostrato sembra essere per l’artista la donna, la cui intima vicenda personale compare indirettamente nel lenzuolo ricamato, nei merletti, nel colletto.
Pur nella semplicità delle linee e delle forme e nella marcata naturalità delle istallazioni, esaltata dall’utilizzo di materiali presi così come il bosco e il fiume spontaneamente li offrono, la mostra riesce effettivamente a realizzare quell’idea di anarchico subbuglio, disordinato trambusto e caotica confusione che il Pandemonio richiama. Le immagini possiedono non solo una vigorosa potenza visiva, ma anche una poderosa forza evocativa che sembra scatenare un rumoroso scompiglio che pare realizzarsi in frastuono e tumulto. Simbolica è in tal senso la presenza delle campane, quasi un invito per chi osservi l’istallazione a concretizzare quel rumore, scatenando il caos.
Lo sguardo dell’artista alle paure così concretamente materializzate e che prendono corpo e vita nelle singole opere è tuttavia profondamente ironico, quasi sdrammatizzante; così i merletti adornano un altrimenti terrificante demone e le stelle filanti stemperano e sbeffeggiano il terrore della notte e dell’oscurità. La mano dell’artista interviene così su queste paure, e lo fa potentemente, con un sentimento di quasi freddo distacco che diviene una sorta di invito al superamento del limite imposto dall’angoscia, dalle inquietudini e dal turbamento dell’anima, una esortazione al valico del confine generato dall’irrazionalità e da ciò che sfugge all’umano controllo. Le singole opere acquistano allora una valenza quasi apotropaica, come quella di un gargoyle che si erge sul cornicione di una cattedrale per tenere lontani gli spiriti maligni. Ecco allora che la mostra Pandaemonium assume un ulteriore senso, del tutto opposto al suo significato più diretto ed immediato, ovvero la concretizzazione dei demoni, delle paure e del potere dell’irrazionale, e diventa quasi strumento per allontanare e esorcizzare i timori del tempo presente.